A quanto si apprende dalla stampa, sulla questione dei buoni lavoro qualcosa di grosso sta improvvisamente bollendo in pentola! Il Governo ha infatti annunciato per bocca del Ministro Poletti l’emanazione in tempi brevissimi di un Decreto Legislativo che modificherà radicalmente la procedura di utilizzo dei vouchers.
Secondo le prime indiscrezioni, le nuove norme imporranno al committente (il datore di lavoro) di segnalare preventivamente all’Ispettorato del lavoro via Sms o via mail i dati anagrafici del lavoratore, il suo codice fiscale, il luogo e la durata dell’impiego; una vera novità dato che fino ad oggi la segnalazione era quanto mai sommaria e dovuta a posteriori, entro 30 giorni dall’utilizzo del buono.
Modifiche a parte, il Governo però non intende cambiare una virgola: “Siamo contrari all’abolizione dei voucher e contestualmente disponibili a discutere con il parlamento eventuali forme migliorative. I percettori di voucher oscillano tra 1,9% e 2,7% della forza lavoro, in larga parte turismo e commercio. Se ci sono eccessi siamo pronti a discuterne” ha dichiarato in Parlamento Renzi senza però chiarire cosa si debba intendere per “eccessi” (Il Sole 24 Ore 5 maggio 2016).
Nello stesso articolo del quotidiano confindustriale, ma un tantino più esplicitamente, il professor Maurizio Del Conte, presidente della neonata Anpal (Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro) e consigliere giuridico di palazzo Chigi, aveva chiarito che “L’operazione di tracciabilità e di trasparenza è tesa a contrastare esclusivamente gli abusi”.
Ancora chiaramente si era espresso precedentemente Filippo Taddei, responsabile economico del Piddì. Intervistato lo scorso 26 aprile da Repubblica, con piglio da “ C’è un nuovo sceriffo in città”, aveva dichiarato: ”Restano (i voucher) un incentivo all’emersione del lavoro nero. Per contrastare questo fenomeno che si traduce nel denunciare meno ore di quelle che si utilizzano basta rendere tracciabile il voucher. Obblighiamo il datore di lavoro a comunicare in anticipo, con sms o mail, da quando e per quante ore si avvarrà della prestazione del lavoratore. La tracciabilità è il punto di partenza per far emergere quel che finora è stato essenzialmente lavoro nero.”
In pratica, una candida ammissione di come la giustificazione stessa dei buoni lavoro, la lotta al lavoro nero, sia stata sino ad oggi una pura e semplice barzelletta.
Vale quindi la pena di ripercorrere per sommi capi la vicenda dei buoni lavoro, creati nel lontano 2003 con la cosiddetta Legge Biagi.
Se originariamente i voucher erano stati ideati quali mezzo di pagamento di prestazioni di lavoro ”accessorio e occasionale” limitandone l’utilizzo a poche e ben ristrette fattispecie e categorie sociali (i disoccupati di lunga durata, le casalinghe, gli studenti, i pensionati, i disabili, i soggetti residenti in comunità di recupero, i lavoratori extracomunitari disoccupati da almeno sei mesi), dal 2012 si è avuta invece una improvvisa accelerazione che ne aveva comportato una modifica radicale.
La Legge 92/2012 “Fornero” e il successivo Jobs Act avevano infatti cancellato definitivamente l’elenco delle attività lavorative che ne delimitavano l’uso ed il termine “di natura meramente occasionale”, mentre era stato progressivamente innalzato il limite massimo annuo della remunerazione netta, portato a 5.000 euro (Fornero) e a 7.000 euro (Renzi - DL 81/2015).
In buona sostanza, trasformato in un Mini Job in versione italica, quello che all’origine doveva essere il compenso di “lavoretti” occasionali eseguiti da pensionati in crisi o studenti squattrinati, era stato modificato alla radice, tanto che oggi le prestazioni di lavoro pagate con voucher possono essere rese in tutti i settori, da parte di qualsiasi committente, con qualsiasi genere di lavoratore (salvo alcuni limiti nel settore agricolo), consentendo quindi un sostanzioso e particolarmente attraente risparmio sul costo del lavoro.
Non è quindi una caso se questa operazione di cosmesi è risultata di gradimento tra l’imprenditoria italiana, in particolar modo quella dei settori Turismo, Commercio e Servizi, nei quali il voucher ha velocemente soppiantato le altre forme di impiego, quali il lavoro stagionale o quello a chiamata, perché, non essendo un vero e proprio contratto ma una semplice prestazione d’opera, non dà diritto ad alcuna forma di ammortizzatore sociale (disoccupazione, maternità, malattia, assegni familiari ecc.) né tanto meno ad una contribuzione previdenziale degna di questo nome, mentre invece introduce di soppiatto un salario minimo di 7 euro e 50.
Non a caso, dal 2012 ad oggi, la vendita dei buoni ha avuto un’impennata improvvisa, tanto da passare dai 40.816.297 venduti nel 2013 ai 114.925.180 nel 2015, con un tasso annuo di crescita del 69,5% nel 2014 e del 66,1% nel 2015, mentre il numero dei cosiddetti “voucheristi” è passato da 24.437 del 2008 a ben 1.392.906 del 2015, con un ulteriore sfolgorante aumento del 45% nei primi due mesi del 2016 se paragonati al gennaio-febbraio 2015.
Una crescita senza fine e un vero e proprio successo per il Governo, il quale però, se dà fiato alle trombe e mobilita la stampa amica quando deve dare conto del “Contratto a tempo indeterminato e a tutele crescenti”, nel caso del “popolo dei voucher” preferisce invece glissare sui numeri, limitandosi a ripetere la storiella della “Lotta al lavoro nero”.
Segnaliamo quindi a chi fosse interessato un documento recente (uno dei pochi a disposizione) pubblicato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali lo scorso 22 Marzo e denominato “L’utilizzo dei voucher per le prestazioni di lavoro accessorio (Fonti: Dati MLPS e INPS)” (*) dal quale si possono estrarre statistiche interessanti e soprattutto rivelatrici.
Possiamo infatti osservare come, nel 2015, il settore agricoltura (quello su cui puntava la versione originale dei voucher) sia oggi assolutamente residuale.
Nello stesso anno sono invece saliti ai primi posti i Servizi (11,4%), il Turismo (14,4%), il Commercio (14,9%) e soprattutto quelle “Attività non classificate” (e non meglio definite) che, seppure siano le più gettonate (44,4%) e pur avendo avuto un abnorme aumento del 251,6% rispetto al 2014, non sono state ritenute degne di ulteriori indagini.
Per quanto riguarda invece il numero dei buoni venduti, il documento riporta solo i dati dell’ultimo triennio, ma scorrendo le cifre balza subito all’occhio un dato curioso:
-2013 venduti: 40.816.297 – riscossi: 35.732.910
-2014 venduti: 69.172.879 – riscossi: 63.817.465
-2015: venduti 114.925.180 - riscossi: 88.140.789
Come si può notare, man mano che aumenta il numero dei buoni acquistati, il numero di quelli non utilizzati aumenta progressivamente fino a raggiungere il 38% del totale nel 2015.
In questo caso (e si tratta di uno scostamento più che rilevante) il Ministero ci spiega che si tratta di buoni acquistati e poi non utilizzati, dei quali è stato successivamente chiesto il rimborso.
Come dire che nel 2015 sono stati acquistati buoni lavoro per un valore di ben 26.784.391 euro (differenza tra venduti e riscossi x 10 euro cad.) e solo più tardi ci si sarebbe accorti di avere fatto male i conti ?
Da parte sindacale si solleva infatti il sospetto che i buoni non utilizzati siano stati in realtà custoditi nel portafoglio per essere utilizzati nel caso di incidente sul lavoro oppure di un controllo, un comodo paravento per nascondere quel lavoro nero che il Governo dice di voler combattere.
Vale la pena infine di sottolineare tre ulteriori dati:
- la percentuale di lavoratori che nei sei mesi precedenti lavorava presso lo stesso datore di lavoro con contratti da dipendente o parasubordinato: ebbene, nel 2015 il risultato è del 10% con prevalenza del settore Turismo, dato questo che conferma la “cannibalizzazione” di precedenti forme contrattuali.
- 15 i committenti che nel 2015 hanno comprato voucher per un valore superiore ad 1 milione di euro: 6 operano nel commercio, 3 nelle manifestazioni sportive e culturali, 3 in attività non classificate, 2 nel turismo, 1 nei servizi.
-a pagina 10 del documento leggiamo infine: ”Un’analisi INPS riferita al 2014, effettuata incrociando i dati provenienti da archivi diversi, ha evidenziato come su circa un milione di percettori, 400 mila erano privi di altra posizione (categoria che include gli studenti impiegati nell’agricoltura), 168 mila erano nello stesso anno percettori di indennità di disoccupazione e/o mobilità, 281 mila erano anche attivi come lavoratori dipendenti e 97 mila risultavano percettori di una pensione.”
Se dai 400mila voucheristi privi di altra posizione lavorativa togliamo gli studenti-agricoltori (azzardiamo 50mila su tutto il territorio nazionale), i restanti 350mila hanno come solo ed unico reddito il buono lavoro, cui fa seguito la totale assenza di ammortizzatori sociali; ed ecco spiegato il motivo per cui sia stato cancellato quello scomodo termine “di natura meramente occasionale”.
Tornando alla intervista di Repubblica a Taddei, citiamo a questo punto una “perla”:
Domanda: “Non le sembra contraddittorio puntare con il Jobs act all’estensione dei contratti stabili e poi non porre alcun limite ai voucher?”
Risposta: “Francamente no. È la stessa prospettiva: da una parte si incentiva la stabilizzazione, dall’altra si permette l’emersione graduale dal nero”. I 350mila sono dunque serviti di barba e capelli.
A conti fatti, di aspetti poco chiari il sistema dei voucher ne ha una notevole quantità, anche se il Ministero del lavoro fino ad oggi ha preferito non vedere, non udire e soprattutto non parlare.
Perché mai allora questa improvvisa fregola governativa nel voler imprimere una decisa svolta con l’introduzione della cosiddetta tracciabilità ?
Che si vogliano veramente combattere il lavoro nero e quello irregolare ?
Sono forse state finalmente recepite le critiche sollevate dai sindacati e dal presidente dell’Inps Boeri che aveva definito i voucher come “la nuova frontiera del precariato”?
Niente di tutto questo.
Che il sistema dei vouchers sia ormai fuori controllo deve essersene improvvisamente accorto anche il Governo quando, a metà Aprile, la stampa ha dato la notizia di un’inchiesta della Procura milanese che ha portato alla luce una truffa di dimensioni più che ragguardevoli ai danni dell’Inps, messa in atto – guarda caso - utilizzando proprio i famigerati buoni lavoro: “Milano, beffato il cervellone Inps: truffa da 3,5 milioni sui buoni lavoro, arrestata commercialista maga dei vouchers” titolava il 18 Aprile La Repubblica.
Si è scoperto infatti che tra il 2013 e il 2015 una coppia di professionisti milanesi, che gestiva 33 società già fallite oppure inattive, si è inventata falsi crediti di natura fiscale vantati dalle loro società nei confronti dello stato.
Detto fatto, hanno iniziato a emettere modelli F24 “compensando” i crediti fasulli con l’acquisto di una montagna di sonanti vouchers, distribuiti poi a una rete di 253 persone fisiche (i “percettori” nel linguaggio del voucher) più che ben disposte ad incassare i buoni senza peraltro svolgere una sola ora di lavoro (sono forse queste le “Altre attività non classificate” ?), con l’accordo che la maggior parte del ricavato sarebbe poi stato girato alla coppia ideatrice della “stangata”.
In tal modo, sfruttando la strutturale mancanza di controlli sul “Sistema voucher” e senza che in tre anni né l’Inps né il Ministero del lavoro si fossero minimamente accorti del raggiro, la coppia è riuscita a sfilare elegantemente dalle tasche dell’Ente previdenziale di stato circa 3.500.000 euro per destinarli a lucrosi investimenti personali, fino a quando una “lavoratrice” non li ha denunciati, con il risultato di scatenare il panico nelle stanze di alcuni ministeri.
Vogliamo quindi dare credito alla ennesima balla sulla “lotta al lavoro nero” ?
Davvero crediamo che il motivo di tanto scompiglio – e del relativo e urgentissimo Decreto – sia quello di porre fine agli “eccessi” e di colpire gli “abusi” come dice qualcuno?
Oppure la vera motivazione è un’altra e la si vuole ancora una volta nascondere dietro una cortina fumogena fatta di proclami tanto altisonanti quanto mistificatori ?
E’ sufficiente spigolare su Internet per scoprire l’altra faccia della luna, quella più nascosta:
“In attesa di questi interventi normativi, probabilmente restrittivi nell’utilizzo (ovvero il famoso Decreto legge) , la più recente novità in materia di voucher lavoro riguarda l’acquisto, da parte di imprenditori e professionisti, attraverso il versamento con F24.
La circolare INPS N. 68/016 ha infatti precisato che ad evitare irregolari compensazioni con crediti del contribuente, chi acquista voucher dall’Inps dal 2 maggio 2016, dovrà versare i contributi di spettanza dell’Inps indicando la causale “LACC - Lavoro occasionale accessorio” nel modello F24 “Elementi identificativi” (F24 ELIDE), anziché nel modello F24 ordinario.
L’avvicendamento è stato disposto dall’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 20/E del 6 aprile 2016. “
Altro che lavoro nero, eccessi, abusi, tracciabilità ecc. ecc.!
Qui si intende unicamente correre ai ripari per tappare le falle ed evitare ulteriori stangate, mentre allo stesso tempo si vuole nascondere il fatto che l’architrave su cui si regge il Sistema voucher era (ed è ancora oggi) interamente marcio.
Come dice un vecchio proverbio, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi … e ora lo sa anche il governo.
Un osservatore
(*)
http://www.lavoro.gov.it/priorita/Documents/Report%20Voucher%20Lavoro%20Accessorio.pdf